Il battello per lo stadio, l'Indonesia e Buffon: B Marzio è con Audero

La rubrica che racconta i migliori talenti della Serie B ConTe.it fa tappa a Venezia per scoprire il portierone arancioneroverde.

 

 

Da piccolo doveva essere uno particolarmente generoso. Di quei bambini che quando c’è da mettersi a disposizione è sempre il primo. Anzi, il numero uno. Una percezione che si ha subito quando si parla con Emil Audero. “In porta ci sono finito un po’ per caso”, spiega senza troppi rimpianti. “Perché tra amici mancava sempre un portiere e così una volta ci ho provato io”. Il resto è storia. Settore giovanile della Juventus, nazionali dall’Under 15 in su e oggi titolare fisso a difesa della porta del Venezia. Neopromossa sì ma con ambizioni da grande: “sono il più giovane di un gruppo decisamente più esperto di me ma non per questo mi sono mai sentito un estraneo”.

Si racconta con naturalezza mentre passeggia sui campi di allenamento di Talercio, a Mestre, lì dove ogni giorno lui e i suoi compagni si ritrovano agli ordini di Filippo Inzaghi. “La gavetta nella Juventus mi ha aiutato tanto, ma ora è bello mettersi alla prova”. Lo fa ogni settimana ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Vietato pensare, però, che le sue qualità siano solo un caso. Il lavoro occupa un ruolo fondamentale nella vita di Emil. “Praticamente la mia quotidianità è casa-campo”. Senza troppi grilli per la testa, ma allo stesso tempo sempre sorridente e pieno di vita. La sua, in particolare, si divide in due continenti. “Mia mamma è italiana ma mio papà è indonesiano. Sono nato in Indonesia e per il mio primo anno ho vissuto lì. Poi sono tornato a Torino e mi sento italiano tutti gli effetti. Potrei anche avere il doppio passaporto ma onestamente quello indonesiano non l’ho neanche chiesto”. Dai parenti del papà ci torna in vacanza, perché la famiglia ricopre per Audero un ruolo importante. “Quando posso faccio io su e giù tra Venezia e Torino per andare a trovare mia mamma e se c’è più tempo per andare fuori torno in Indonesia dal mio papà”.

E’ lì che tre anni fa si è “legato” a quello che oggi è il suo unico portafortuna. “Un braccialetto che porto al polso che mi è stato dato da un bambino sulla spiaggia. Sulle prime credevo fosse il classico laccetto che sarebbe venuto via subito, mentre è ancora qui e ci tengo tantissimo”. Lo tiene conservato sotto la felpa, e quando arriva il giorno della partita lo custodisce sotto il guanto della mano destra, come se fosse una seconda protezione per la sua porta.

Tra il campo di allenamento e casa (dove ammette di essere migliorato anche come cuoco), ha trovato un hobby decisamente particolare. “Scherzando con i compagni su Call of duty alla Play, mi è venuta l’idea di provare la mia mira balistica dal vivo e così ho iniziato a tirare con la carabina. Colpi minuscoli, sia chiaro, ma è un buon modo per scaricare la tensione”. Una passione che coltiva da solo, mentre quando è tempo di cene con gli amici si ritrova spesso con Geijo.

Venezia, però, vuol dire anche vivere una città piena di storia. “Ci ero già stato da turista prima di venire a giocare, ma ora mi capita più spesso di andare a fare una passeggiata per i canali. Con la mia fidanzata ma anche con gli amici e la famiglia. E’ davvero uno spettacolo suggestivo”. Un po’ come l’esperienza di arrivare allo stadio in battello. “Lì per lì non ci avevo mai pensato, ma quando la prima volta ci siamo imbarcati, per quella mezzora ho completamente dimenticato che stessimo andando a giocare una partita di calcio. I miei pensieri sono andati al mare, alla città e a quell’esperienza unica che stavo vivendo. Poi già la volta dopo ci avevo fatto l’abitudine ma ammetto che sia davvero un’esperienza unica”.

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