Marco Mancosu, tornare profeta in patria

Il cerchio della carriera del giocatore sardo non poteva che avere miglior destino

 

 

L’ultima volta che Marco Mancosu aveva indossato la maglia del Cagliari prima della sfida dell’Unipol Domus contro il Cittadella nella seconda giornata, era il 17 maggio 2009, una vita calcistica fa.

Più di 13 anni sono passati tra i 9 minuti concessi da Massimiliano Allegri contro la Reggina a quel ventunenne di belle speranze e il gol del pareggio, propedeutico al successo del 2-1, realizzato domenica sera. In questo enorme arco di tempo che il talentuoso sardo ha vissuto lontano dalla sua terra è cambiato molto attorno ai protagonisti della storia: i rossoblù non occupano la parte sinistra della classifica in Serie A ma competono in Serie BKT, il trequartista è reduce dal lustro migliore della sua carriera.

A far svoltare prepotentemente da un punto di vista professionale Mancosu è stato proprio l’allenatore ritrovato in terra sarda: Fabio Liverani.

Giocando dietro le punte nel 4-3-1-2 del mister a Lecce, il classe 1988 ha vinto la Serie C e la Serie BKT per poi disputare una Serie A da protagonista assoluto realizzando ben 14 gol. I suoi numeri non basteranno a evitare la retrocessione e, anzi, due rigori sbagliati peseranno enormemente nel computo di una stagione intrisa di bellezza ma anche di sfortuna per la compagine salentina. L’epilogo del rapporto tra allenatore (sostituito da Eugenio Corini nella stagione successiva) e giocatore nulla può sottrarre all’alchimia speciale di un triennio inspiegabile.

In seguito alle prime esperienze a Cagliari, la direzione di Mancosu sembrava infatti abbastanza segnata. Ottimi numeri per la Lega Pro, ma nessuna chiamata dalle categorie superiori nonostante le buonissime prestazioni sciorinate con la maglia del Benevento. Solo Liverani ha saputo costruire attorno a lui un centrocampo fisico, atletico e funzionale. Lo scopo è sempre stato ben preciso: lasciarlo libero di esprimersi come un 10 puro, potendo sia innescare con la sua immensa qualità i compagni che mirare la porta in virtù di abilità balistiche decisamente sopra la media. Pochi compiti di ripiegamento, poco lavoro oscuro: la classe al centro del progetto è stata la fortuna del Lecce.

Il biennio appena passato, invece, è stato più complicato. L’ultimo anno in Puglia è stato segnato dall’operazione a causa di un tumore, fortunatamente debellato. Esperienze simili mettono a dura prova chiunque, ma Marco Mancosu ha affrontato i suoi giorni più duri senza mai rinunciare a coltivare il suo sogno: tornare in campo nel corso della stagione e difendere ancora una volta i colori giallorossi. L’epilogo del campionato è sportivamente drammatico: in semifinale playoff di Serie BKT contro il Venezia ancora una volta il trequartista figura come uno dei migliori in campo, ma sbaglia un rigore che con ogni probabilità avrebbe avuto il sapore della finale raggiunta.

Lui, cecchino infallibile per anni, dopo il primo penalty fallito in Serie A ha perso la propria magia dagli 11 metri. Si tratta di un destino comune a tanti rigoristi, coinciso però con una grossa delusione personale e di squadra.

Dopo 12 mesi così intensi, Mancosu decide di lasciare il Salento e sposa il progetto del neo-proprietario della SPAL Joe Tacopina. Per lui non si tratta di una stagione negativa: realizza 6 gol e, pur non mostrando in ogni singola gara il massimo della brillantezza alla quale ha abituato tutti, sa come incidere e risultare decisivo. Il club, però, paga l’assestamento necessario dopo il cambio al vertice della società e vive un torneo complesso.

La salvezza diretta arriva soltanto in extremis sotto la guida di Roberto Venturato, succeduto a Pep Clotet. Il secondo campionato, ancora con l’ex Cittadella al timone, sembra poter essere quello della stabilizzazione per gli Estensi.

Tutti immaginavano il calciatore che stava sperimentando il ruolo di mezzala, come leader tecnico e carismatico del nuovo corso. La storia invece è stata diversa: il 17 agosto il giocatore rescinde col club, sorprendendo tutti. Poche ore dopo si scopre che gli è arrivata una chiamata speciale, attesa da tutta una vita.

Il suo Cagliari ha bisogno di lui per riconquistare la Serie A, gli offre un contratto lungo e gli promette un ruolo all’interno della società anche al termine della carriera. Lui si reca, come raccontato dal presidente, da Tacopina che a malincuore acconsente a liberarlo. Un amore così puro e fino a quel momento incompiuto non poteva essere ostacolato da chi a Mancosu ha voluto bene “come a un figlio”.

L’esordio di domenica è stato sfavillante. Schierato dietro la punta al fianco di Gaston Pereiro in un affascinante Albero di Natale, il calciatore ha dispensato palloni con la solita eleganza, efficacia e visione di gioco. A far già innamorare perdutamente i tifosi, però, non è stato il conclamato talento. Senza avvertire alcuna pressione, Mancosu ha combattuto da autentico sardo. Oltre alla tecnica, in campo ha già lasciato sudore, cuore e cervello. Non ha mai perso la bussola, neanche in situazione di svantaggio, e con tantissimo coraggio ha impattato di testa in tuffo il pallone del pareggio non curandosi dell’uscita bassa di Elhan Kastrati.

Troppa la voglia di vivere serate del genere accumulata negli anni per porsi limiti, domande o avvertire paure.

Il desiderio ha vinto su tutto e si è tramutato in “cattiveria agonistica”. Per Fabio Liverani questa versione di Marco Mancosu, adesso più trascinatore che mai, può rivelarsi cruciale. Quando un grande calciatore ha imparato a vincere non lo dimentica più. Lui è pronto ad aiutare i compagni e caricarseli sulle spalle per realizzare il sogno più grande della carriera e della vita: ottenere un trionfo con la maglia del Cagliari, la sua seconda pelle.

 

 

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